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Un'ombra chiamata solitudine
Ciascuno di noi possiede un essere, ovvero un'identità. Identità vuol dire uguaglianza, ciò che è uguale a se stesso. Noi tutti, guardandoci allo specchio, siamo in grado di riconoscerci. Tuttavia, dimentichiamo spesso che l'identità, come scriveva Pirandello, è multiforme. Siamo uno, nessuno e centomila allo stesso tempo. Fissare l'essere una volta per tutte fa parte di una lunga tradizione filosofica che approda a Hegel. Per il pensatore di Stoccarda, il conflitto tra l'essere (l'io) e il suo contrario (il mondo) si risolve in una sintesi che non elimina, non annulla il momento negativo (la negazione dell'essere), bensì lo assimila. Fa come se non ci fosse.
Il problema del non-essere può dirsi risolto, cancellato dalla nostra vita? Il negativo, l'altro-da-Sé, è riconciliato con il Sé-per-sé? Forse a livello gnoseologico, sì. In fondo, già Cartesio ha dimostrato che la realtà o res extensa, non è altro che un'estensione, una proiezione della soggettività: per descrivere ciò che ci circonda usiamo categorie e strumenti che non esistono in natura, ma che applichiamo sulla base del nostro pensiero.
A livello morale, tuttavia, le cose non sono affatto semplici. Il soggetto, in questo caso, si sdoppia in un essere e in un non-essere, i quali convergono ad una sintesi sempre a scapito dell'essere. Ne va del nostro poter-essere.
L'essere deve rendere conto della sua reazione al non-essere che domanda e con cui convivo in una posizione di conflitto, di antagonismo.
Il mio nemico è subdolo, non si fa vedere. E' uno spettro oscuro, un fantasma, ma non per questo meno reale, dal momento che lascia una traccia indelebile su di me.
L'io cosciente, l'essere, è nudo di fronte ad esso: non può debellarlo, perché è "presente" in un modo che non posso comprendere. E' il non-essere per eccellenza. Il suo nome è Solitudine.
In base a come ci relazioniamo al non-essere, dalla nostra risposta al suo chiedere incessante, dipende la qualità delle nostre azioni. Può irretirci o smuoverci in direzioni opposte.
Siamo dunque schiavi del non-essere? In realtà, quest'ultimo dialoga sempre con la nostra coscienza. Ci offre una chance, un'opportunità di salvezza e di replica.
Esiste una libertà, nell'uomo, di compiere il bene o il male. La Solitudine non è una forza di fronte alla quale dobbiamo ammutolirci. Certamente non è possibile sottrarsi alla sua sfida. Possiamo, tuttavia, dare forma ai nostri pensieri e alle nostre azioni in base al contenuto che abbiamo da opporre al nostro avversario: il contenuto della nostra coscienza.
Come persone, abbiamo il dovere morale di cooperare al bene e di riempire il vuoto originario della coscienza con l'educazione.
L'istruzione e l'esperienza devono trasformarsi in educazione, senza la quale resta lo sterile nozionismo che non ci sarà di alcuno aiuto al momento della chiamata, dell'appello in cui sediamo come imputati di fronte al giudice supremo esistente al di là del tempo: il non-essere pre-originario.